Cambiamento. Un termine così affascinante e ricco di prospettive, ma allo stesso tempo, per molti, così allarmante.
Negli ultimi due decenni, e ancor più nella rivoluzione della pandemia, per il mondo delle imprese cambiamento si traduce in digitalizzazione. Lasciarsi un po' indietro anni di abitudini fisiche: faldoni, archivi, agende, ma anche fax, telefonate e convegni.
Le aziende di oggi ne sono perfettamente consapevoli ma il passaggio non sempre è facile, è questo instilla timori. Timori che, però, vanno e possono essere superati, con un po' di impegno.
Secondo la ricerca condotta nel 2020 dall'Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI-> del Politecnico di Milano, la quasi totalità degli imprenditori (88%) considera davvero le innovazioni digitali come imprescindibili per la crescita.
Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare: a conti fatti, solo il 26% delle PMI si è rivelato digitalmente maturo.
Secondo la ricercatrice dell'Osservatorio, Giorgia Sali, questo contrasto ha origine dalla poca volontà di innovare.
La ricerca, risalente ad ancor prima del terremoto COVID, già evidenziava per il 2020 previsioni statiche (e talvolta al ribasso) riguardo l'investimento nel digitale.
Il più grande ostacolo è perciò la visione di cambiamento come una paura: sia di modificare le consuetudini, sia di rischiare più della norma.
Volendo citare Eric Hoffer, durante i periodi di cambiamento, chi non è in grado di imparare si ritroverà attrezzato per affrontare un mondo che non esiste più. Questi mutamenti vanno invece presi come evoluzione, opportunità, e talvolta come unico modo di continuare a vivere.
Tra i principali timori espressi dalle PMI in termini di evoluzione digitale, nel 24% delle imprese figura la mancanza di conoscenze e competenze. Trovandosi a fronteggiare un mondo del tutto nuovo, fatto di cambiamenti forti, continui e improvvisi, le PMI sentono di non essere attrezzate e rischiano di rinunciare in partenza.
Si rivelano quindi reticenti a investire in digitalizzazione aziendale, settorializzazione e formazione dei dipendenti in tal senso (o assunzione di soluzioni outsourcing).
Nel 18% dei casi addirittura non esiste alcuna figura dedicata; nel 44%, invece, la cura delle tecnologie dell'informazione è presente, ma viene affidata al responsabile IT. Quest'ultimo ha già i compiti del suo specifico settore da svolgere, e finisce per non occuparsi di reale evoluzione.
La soluzione c'è, anche se al momento è seguita solo da una minoranza delle PMI: inserire nel proprio team un Innovation Manager (cosa che fa già il 20% delle aziende intervistate) che coordini l'evoluzione.
Inoltre, dotarsi di figure specializzate negli specifici settori digitali (18%), come gli esperti di sicurezza, comunicazione, studio dei dati e via discorrendo. Una scelta che ogni giorno appare più indispensabile per tenere il passo del mercato.
La maggior parte degli altri ostacoli menzionati riconduce a un solo timore: che in fin dei conti, non ne valga economicamente la pena. Alcune PMI (11%) adducono anche una mancanza di aiuti da parte delle istituzioni, sebbene su questo punto ci sarebbe da approfondire, poiché oltre i due terzi di esse non conoscono gli incentivi statali recenti.
Se il 7% denuncia difficoltà nella stima dei benefici, il dato che più colpisce è il 27% bloccato da costi troppo elevati. Una barriera ancora molto presente, data sia dalla somma degli altri motivi, sia dalla mancata conoscenza di come il cambiamento sia importante, pervasivo.
Come in ogni evoluzione, percepire l'aggiornamento come qualcosa di evitabile o passeggero può rivelarsi un errore fatale. Gli ultimi anni (e in modo scioccante gli ultimi mesi) hanno dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che la digitalizzazione è la strada maestra, sia per restare competitivi, sia, soprattutto, per tracciare un nuovo futuro.